Per i professionisti IT esiste da sempre un terribile dilemma: meglio lavorare facendosi assumere o aprire la propria Partita IVA?
Le domande più frequenti
“Sono un programmatore Javascript con tre anni di esperienza. Quanto posso guadagnare?”
“La mia azienda mi ha offerto 1800 euro al mese. E’ giusto?”
“Ma in Svizzera o in Germania si guadagna di più”
“Vorrei essere assunto ma vorrei conrtinuare a lavorare in smart working”
“Ho diverse proposte per fare piccoli lavori ma sono assunto da una azienda e ho paura di non farcela a fare tutto.”
In questo articolo abbiamo parlato dell’obbligatorietà di indicare la RAL in un annucio di ricerca del personale. Questo adempimento che entrerà in vigore a breve nei paesi della Comunità Europea di certo consentirà a chi cerca lavoro di farsi un’idea più chiara del mercato anche per chi il lavoro lo cerca e non solo per chi lo offre.
Da anni ci occupiamo di selezionare sul mercato figure professionali di eccellenza che possano aiutare i nostri clienti all’interno dei loro progetti.
Abbiamo raccolto impressioni e fatto esperienze osservando atteggiamenti e comportamenti che ricorrono durante i processi di selezione. E’ giunto il momento di fare un riassunto.
Innanzi tutto che tipo di lavoro sai fare?
I compensi nell’IT cambiano moltissimo in funzione di quello che si va a fare.
Ci sono differenze a parità di anni di esperienza tra System Engineers, Developer, PMO, Data Scientists, DBA, Architects e Cloud Experts.
Alcune professionalità possono vivere stagioni in cui sono molto popolari, ad esempio perchè nascono assieme al diffondersi di una nuova tecnologia disruptive rispetto al passato.
Il loro valore si deprezza con il passare del tempo e gli addetti devono rapidamente essere in grado di riqualificarsi su altro.
Ci sono poi professionalità highlander come ad esempio i developers Cobol o RPG che resistono alle mode e al tempo perchè lavorano su una tecnologia solida, diffusa e che affonda le sue radici in una esigenza che fondamentalmente è rimasta uguale nel tempo.
Le differenze sono marcate anche dalla zona geografica: norde, centro o sud, nearshoring.
Come vuoi lavorare?
Da dopo il covid un parametro fondamentale per la determinazione del compenso è la propensione sempre più diffusa dello smart working.
L’area geografica diventa immediatamente meno influente nella determinazione del compenso: un developer di Milano può lavorare in remoto per una azienda spagnola o svedese, idem un system Engineer di Reggio Calabria può assistere il cloud di aziende in Germania o negli Emirati Arabi Uniti o a Roma.
Ritorna ad essere un parametro di valutazione dell’offerta di lavoro, nel momento in cui la richiesta del datore di lavoro è per una position ibrida che preveda uno o più giorni al mese di presenza presso gli uffici aziendali.
Altro parsametro da non sottovalutare è il costo della vita: il compenso dovrebbe essere almeno sufficiente a consentire di condurre una vita soddisfacente nella propria città o paese.
Con chi vuoi lavorare?
A parità di professionalità il compenso cambia se si va a lavorare direttamente per l’azienda che gestisce il progetto, il cosiddetto “Cliente Finale”, l’azienda che non fa informatica come missione ma che la utilizza come uno strumento più o meno importante per il proprio business, o se si va alavorare per una consulting che svolge il progetto presso il “Cliente finale”.
Inoltre la Consulting è l’owner del contratto con il “Cliente Finale” o è in subappalto?
A regola più vicino si sta al “Cliente FInale” più aumentano le possibilità di spuntare un compenso elevato essendo la catena di fornitura più corta.
Quante cose vuoi imparare?
Cambiare spesso progetto consente di cambiare spesso tecnologie, di approfondire processi industriali sempre diversi.
Essere legato per molti anni ad un solo progetto può portare a focalizzarsi solo sulle tecnologie adottate dalal azienda, perdendo la possibilità di aggiornarsi se non per via di iniziativa personale, con il rischio di essere meno spendibili nel momento in cui si decide di cambiare datore di lavoro.
Che cosa può fare il datore di lavoro?
E’ chiaro ormai da qualche anno che il modo di lavorare nell’IT è cambiato:
- esigenza di lavoro agile o smart che porta a lavorare per obbiettivi e per task;
- desiderio degli addetti di lavorare da casa per aumentare la qualità della propria vita, evitando i costi i tempi e le fatiche dello spostamento casa-ufficio, con un side effect sull’inquinamento che ha certamente un saldo positivo;
- esigenza di avere competenze sempre aggiornate che portano le aziende a ridurre gli addetti interni, privilegiando l’utilizzo di consulenti e aziende esterne, portatori e portatrici di innovazione e costi variabili.
In uno scenario così mutato sarebbe utile e necessario avere formule contrattuali agil a loro volta e che possano supportare le mutate dinamiche lavorative
Queste tipologie di inquadramento però al momento non esistono e se è possibile fare smart working è perchè ci sono decreti che vivono di proroghe, deroghe speciali, consuetudini.
Ma assumere un dipendente consentendogli di lavorare in smart implica una marea di adempimenti da parte dell’azienda, una maggiore esposizione a rischi, e un aumento dei costi tale da scoraggiare chiunque dall’adottare tale formula.
Per lo smart working dal punto di vista normativo la cosa migliore per il datore di lavoro è sempre la collaborazione con un professionista in Partita IVA.
Dall’altra parte obbligare i dipendenti e i collaboratori alla presenza in ufficio, implica allestire per loro un ufficio con tutti i costi che questo asset genera.
Quindi che cosa scelgo per lavorare?
Quale è quindi nel mercato del lavoro attuale per i professionisti dell’IT la formula migliore?
Rimandando ad altri articoli le considerazioni sulla qualità della vità e del mix tra ore dedicate al lavoro e dedicate al privato, se si fa una considerazione meramente economica emerge che:
- Una RAL, per quanto alta, deve sempre fare i conti con trattenute, scaglioni, contributi previdenziali. Dall’altra parte è noto a priori il netto che si riceverà in busta, le mensilità previste dal CCNL. La capacità di farsi dare un aumento è demandata al singolo, all’andamento della azienda o alla volontà di cambiare spesso datore di lavoro.
- La Partita IVA, in principal modo quella “a regime forfaittario” dà l’idea di avere più soldi in tasca perchè “le tasse sono solo il l15% fino ad 80.000 euro fatturati all’anno.
- La Partita IVA tradizionale dà l’idea di infilarsi in un ginepraio di leggi, clausole e adempimenti senza sapere mai per certo su quanti soldi si può contare per vivere.
Alcune differenze utili a valutare
Nel lavoro dipendente in ragione dell’inquadramento, delle policies aziendali si può usufruire di benefit come l’auto aziendale, il piano di welfare aziendale, i buoni pasto, una assicurazione medica, check up annuali.
Se parliamo di regime forfettario innazi tutto a 80.000 euro all’anno bisogna arrivarci e poi bisogna ricordare che oltre alla tassazione a forfait sono da pagare a onere del professionista i contributi previdenziali che, in ragione della cassa cui li si versa possono variare in percentuale dal 20% al 25%.
Ci sono poi dei versamenti minimi dovuto sopratuttto agli istituti di previdenzia pensionistica che prescindono dal volume di affari sviluppato nell’anno.
Nel regime forfaittario inoltre nessuna spesa è più detraibile dall’imponibile: l’auto, il carburante, i tagliandi, la assicurazione, il telefono, il PC, le licenze software, la connettività internet di casa o dell’ufiffcio, un eventuale affitto per il proprio ufficio personale, le bollette direttamente afferibili, sono tutti costi senza nessuna possibilità di abbattere l’imponibile.
Tutte queste spese diventano deducibili in parte o del tutto se si possiede invece una partita IVA tradizionale.
Questo consente di abbattere l’imponibile avendo comunque accesso ad utilità che concorrono alla conduzione del lavoro professionale.
Con la partita IVA tradizionale c’è l’onere di pagare trimestralmente l’IVA che però è una cosiddetta “partita di giro” che non rappresenta quindi un costo per il professionista che al contrario deve aver cura di accantonarla per poterla poi versare all’erario alla scadenza.
Conclusioni
Il dilemma è di difficile risoluzione.
La scelta se lavorare come dipendente o come professionista può essere dettata da molti fattori:
- indisponibilità di una alternativa: l’azienda assume e basta oppure l’azienda non assume
- la tipologia di contratto a fronte delle volontà o esigenze del lavoratore
- l’attitudine a farsi guidare nel lavoro o per converso la capacità di organizzarsi in autonomia
- la volontà di evolvere professionalmente dandosi l’opportunità di misurarsi su un ventaglio di tecnologie più o meno ampio
E’ fondamentale poi per la scelta la consapevolezza dei propri desideri, delle proprie attitudini:
- Quanto si vuole essere liberi nell’orario di lavoro, nella modalità di eseguirlo
- In quale misura si vuole fare carriera evolvendo da un ruolo tecnico ad un ruolo di coordinamento fino ad un ruolo dirigenziale o decisionale
- Qual’è propensione al rischio
- Quanto si pesa la varietà del proprio lavoro, la sfida tecnica insita in ogni progetto
- E’ importante la sicuerezza del “posto fisso”?
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